Archive for gennaio 26th, 2010

Sulla battaglia di Nikolajewka e sulla giornata della memoria

martedì, gennaio 26th, 2010
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Celebrazione 67° Anniversario Caduti della Battaglia di Nikolajewka

Cari Cittadini,

anche quest’anno il Comune di Pontedera vuole celebrare, a 67 anni di distanza da quei tragici eventi, la battaglia di Nikolajewka.

Nikolajewka era una piccola località della vasta pianura russa, dove scorre il fiume Don. Il nome di questa località è divenuto famoso per la lotta disperata ingaggiata dai soldati italiani, gli alpini della Divisione “Tridentina”, che insieme a quelli d’altre unità combattenti alpine, si batterono per uscire dall’accerchiamento che l’esercito sovietico aveva creato attorno a loro e ad altri quarantamila sbandati sia dell’armata italiana, sia delle forze alleate (tedeschi, ungheresi e rumeni).

Fu di fatto l’ultimo grande scontro della nostra ritirata dalla Russia. Fu la battaglia della disperazione e della salvezza. L’azione iniziò all’una di notte del 26 gennaio 1943. Nuto Revelli, su “La Stampa” nel gennaio 1963, fece una descrizione dettagliata di quei giorni.

“Il Corpo d’Armata Alpino, accerchiato da reparti corazzati, aveva cominciato a ripiegare dalla linea del Don il giorno 17: in quel momento, il generale Gabriele Nasci, comandante del Corpo d’Armata, poteva contare su 57.000 uomini, nelle divisioni “Cuneense”, “Julia”, “Tridentina” e “Vicenza”. Dopo nove giorni di combattimenti e di marce in condizioni ambientali tremende, nella neve ora gelata ora sabbiosa in cui si affondava sino al ginocchio, e con un freddo fra i 30° e i 40° sottozero, le nostre truppe si trovarono decimate. Migliaia di alpini erano morti e migliaia erano stati catturati dai russi”.

La battaglia fu massacrante. Per tutti.

“Anche per i sovietici, sopraffatti dalla massa enorme di italiani piombata sulla città, esisteva il problema della sopravvivenza. Anche loro erano provati dai combattimenti, con molti feriti, paralizzati come noi dalla temperatura a 30° sottozero. In questo ambiente, in certi settori della città si stabilì quasi una tregua forzata”. Un tregua con episodi di una umanità incredibile. Uno, famosissimo, lo raccontò lo scrittore Mario Rigoni Stern, allora sergente maggiore della 55^ del “Vestone” che entrò in un’isba occupata da soldati russi. Aveva fame. Una donna gli porse un piatto di latte e miglio. Rigoni Stern mangiò sotto lo sguardo dei sovietici, poi ringraziò e uscì”.

La battaglia, che costò decine di migliaia di uomini, terminò con la rottura dell’accerchiamento russo e la continuazione della lunga marcia per il ritorno a casa degli italiani. Fu una battaglia per conquistarsi il diritto a tornare a casa e non per conquistare nuove terre.

La tragedia della folle Campagna di Russia era finita.

Alle truppe italiane, per andare in Russia, nell’estate del 1942 erano state necessarie duecento lunghe tradotte; per ritornare in patria, nella primavera del 1943, bastarono 17 brevi convogli ferroviari.

Di 229.000 soldati italiani inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Mancarono all’appello 84.830 uomini di cui 10.030 furono restituiti dall’Urss.

Il totale delle perdite ammontò a 74.800 uomini.

Va anche ricordato che il popolo russo fu quello più colpito da quella catastrofe che fu la seconda guerra mondiale: furono oltre venti milioni i morti russi, gran parte di loro erano civili cittadini.

Perché raccontare e ricordare oggi quella tragedia, a così tanti anni di distanza? Occorre innanzitutto raccontare ai giovani ciò che è stato. Un popolo senza memoria non ha futuro. Oggi, immersi nella nostra quotidianità e nel nostro benessere, facciamo persino fatica ad immaginare cosa furono quella battaglia e quella folle guerra.

Ed è importante oggi ascoltare il messaggio dei superstiti “che – come scriveva Revelli – fu di condanna dell’assurda politica di guerra del fascismo. Questo spiega perché le popolazioni delle valli che avevano visto morire i loro figli in Russia si schierarono subito, d’istinto, con la Resistenza. Così avvenne nelle vallate di Como, dove bruciante era il ricordo dei quattordicimila caduti e dispersi della Divisione “Cuneense”. I partigiani lottarono contro i nazi-fascisti anche per conto dei fratelli, dei figli, degli amici che erano morti in Russia”.

E occorre anche ricordare che quella battaglia, e la campagna di Russia, furono un tassello del mosaico ben più ampio e apocalittico che fu la seconda guerra mondiale. In queste ore stiamo celebrando infatti anche la Giornata della Memoria nel quale vogliamo ricordare la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ma anche “la Shoah (lo sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Anche di questo dobbiamo ricordare. Anche questo pesante fardello ha accompagnato la seconda guerra mondiale e le tristi ideologie nazifasciste di superiorità della razza.

Primo Levi sosteneva che ”Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Capire le ragioni della follia collettiva rappresentata da una guerra è sempre difficile. Ma oggi è ancora importante conoscere ciò che è stato. La pace è un valore assoluto che dobbiamo difendere tutti. La migliore società che possiamo costruire per i nostri figli è una società che non debba conoscere la guerra: se saremo stati capaci di ciò avremo svolto con onore e giustizia il nostro ruolo e potremo dirci buoni padri.

Pontedera 21 gennaio 2010

Commemorazione dei bombardamenti subiti dalla città nel 1944

martedì, gennaio 26th, 2010

Anche quest’anno celebriamo, ed è la prima volta che lo faccio da sindaco, l’anniversario dei tragici bombardamenti di Pontedera avvenuti tra il 18 e il 21 gennaio 1944.

Vogliamo ricordare quei 130 nostri concittadini che non ci sono più, quella grande tragedia, una delle più grandi che colpì la nostra città. Molti erano cittadini rifugiatisi nella zona dell’Orto del Rosati ma abitanti di ogni zona della città.

Spesso le giovani generazioni non ne sono a conoscenza ma la nostra città pagò un tributo carissimo al secondo conflitto mondiale: 370 morti, 1200 feriti, l’80% di abitazioni distrutte o danneggiate, come anche le scuole e le industrie.

Pontedera anche allora era una città strategica e a vocazione industriale: un obiettivo molto importante per i bombardieri americani che stavano risalendo l’Italia per sconfiggere quei nazi-fascisti, che avevano voluto la guerra per imporre ad altri Paesi la propria visione della società.

Ma fu Pontedera, e non solo il nazifascismo, a pagare quella follia con il sangue dei propri figli. Pontedera fu bombardata a tappeto diverse volte. Gli americani tentavano di distruggere quella che era una delle più importanti fabbriche di aerei da guerra del Paese. Le fabbriche che avevano rappresentato le principali fonti di benessere per la città adesso si trasformavano nella principale causa del dramma. La storia deve essere maestra di vita e noi dobbiamo trarre insegnamento da quello che è accaduto. Abbiamo anche il dovere di ricordare, di coltivare l’esercizio della memoria. Questo momento di riflessione che stiamo vivendo deve servire a farci ricordare come le guerre siano una sconfitta dell’umanità, di tutta l’umanità.

Dobbiamo pensare con mente nuova al futuro, alle relazioni con gli altri e fra i popoli. Il mondo è cambiato. E’ un immenso villaggio. La fame e la povertà di altri popoli riguardano anche noi. La disperazione di quella gente è una disperazione che raggiunge le nostre coste e alberga affianco alle nostre case. Urge un mondo più giusto, più equo, migliore. Un mondo che si costruisce con la pace e non con le guerre. Negli ultimi mesi abbiamo visto molte tragedie vicine e lontane: il terremoto all’Aquila, la strage di Viareggio, l’alluvione a Messina, il sisma di Haiti. Sono tragedie di tutti. Sono drammi di un unico popolo di cui facciamo parte. Sono drammi che ci fanno capire quanto sia importante una maggiore solidarietà tra tutti. Per questo noi vogliamo ricordare ciò che fu a Pontedera, l’assurdità della guerra, i nostri caduti. Il compianto Pietro Giani raccontò con gli occhi di bambino quei tempi. Sono parole da non dimenticare, mai.

E ringrazio ancora chi si impegna ogni anno per coltivare la memoria di ciò che fu.