Resistenza e liberazione: gli antidoti ancora attuali alla xenofobia

Ieri, il 25 Aprile, la festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, una liberazione non solo fisica ma anche culturale, una emittente locale ha girato un video al quartiere della stazione dove si raccontava di una zona, pur ordinata nel suo complesso e senza fenomeni di degrado comparato ad altre quartieri analoghi di altre realtà, staccata dal resto della città perché veniva registrata in giro soltanto la presenza di uomini e donne di colore.
Il servizio di per sé non aggiunge né toglie nulla alla rappresentazione di Pontedera ma affonda, (volontariamente o meno è questione irrilevante), la sua ragion d’essere nel peggior sottofondo culturale che la profonda crisi socio economica ha radicato nei tempi moderni: la xenofobia nel suo senso letterale (avversione ed odio a ciò che è straniero, diverso, altro).
Il messaggio pubblico che trasuda da quel servizio è che in quel quartiere sembri di stare più in una città del nord Africa giacche in giro le pochissime persone che si aggiravano (in un giorno di festa in cui ovunque si cerca di passare qualche ora altrove) erano per lo più di colore.
Non mi occupo dei commenti usuali dei leoni da tastiera che sulle piazze virtuali dei social non hanno perso l’occasione per rimarcare posizioni intrise di fascismo demagogico. Mi preoccupo invece del fatto che professionisti seri e preparati non abbiano inteso la portata culturalmente devastante di un video che certifica come la xenofobia, l’odio per gli stranieri, ammanti di sé il detto ed il non detto della comunicazione pubblica.
Senza la notizia di un reato, senza che vi sia stata una aggressione, senza che sia stata evidenziata situazione di particolare degrado urbano, in un giorno di festa, soleggiato, in cui chi ne aveva la possibilità è andato in giro a godersi un giorno di festa, la notizia pare sia stata l’aggirarsi pacifico di alcune donne ed uomini di origini straniere per le strade di un quartiere.
Quando Obama divenne Presidente degli Stati Uniti d’America fui preoccupato perché più della sua rivoluzionaria riforma sanitaria in favore dei più poveri la notizia fosse, nel mondo, il colore della sua pelle; pensai che proprio quell’elezione certificasse il contrario di quanto pareva annunciare: il cammino ancoro lungo da fare per convincere l’opinione pubblica, anche quella più progressista, che le persone debbano esser valutate per quello che dicono e per quello che fanno, non per quelle che sono.
La liberazione del 25 Aprile non ha ancora finito di insegnarci che i partigiani italiani, di ogni fede politica e di ogni classe sociale, non stavano liberando l’Italia da un demone straniero dai tratti somatici diversi e che parlava una lingua diversa.
Liberavano prima di tutto il nostro paese dall’idea, indigena, autoctona, tutta fascista e tutta italiana, maggioritaria nell’opinione pubblica per quasi vent’anni, che vi fosse una supremazia di razza, di religione, etnica e culturale da far valere con l’oppressione e la forza, delle armi, della legge, dell’arte e del linguaggio.
Ecco perchè credo che video di quel tipo non facciano altro, pur senza volerlo, che lastricare la strada del ritorno in favore del male assoluto da cui la battaglia partigiana ci liberò.
È indubbio che le istituzioni e le autorità competenti debbono operare e lavorare per garantire ai cittadini una sicura convivenza civile.
Penso tuttavia che dentro il quadro delle soluzioni ad una problematica che sarebbe stupido negare, gli operatori dell’opinione pubblica, nel pieno della libertà con cui esercitano la propria attività, possono davvero aiutare il paese. Come?
Non mancando di evidenziare, nell’impagabile lavoro che quotidianamente compiono, che c’è una differenza abissale tra il pretendere che le persone che compiono reati, tutte, debbano esser perseguite e punite con certezza piuttosto che ammiccare l’idea che persone di altro colore, di altra lingua, di altra religione, di altra provenienza suscitino paure e causino problemi non per quello che dicono e fanno ma semplicemente per come sono.
All’interno del nucleo di questo concetto, che sembrerebbe invero una ovvietà, sta a mio avviso la sfida più grande ed importante che l’occidente, l’Europa, l’Italia ed anche Pontedera hanno di fronte.
La vinceremo perché possiamo ancorare gli sforzi ai valori fondativi della nostra meravigliosa Costituzione, l’eredità più preziosa ed inestimabile che la battaglia partigiana ha consegnato al paese liberato ed alle generazioni successive.
Pontedera, 26.4.2017
Il Sindaco Simone Millozzi
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